Libertà scientifica e democrazia
Intervista a Marco Perduca, co-fondatore dell’Associazione “Science for Democracy” e militante per i diritti umani. Per 10 anni è stato rappresentante del Partito Radicale alle Nazione unite e durante la XVI legislatura, eletto al Senato Italiano, è stato segretario della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani e membro della Commissione esteri e giustizia.
Cosa significa “Science for democracy”? La scienza può fare qualcosa per la Democrazia o sono le Democrazie che devono adoperarsi a favore del Diritto alla Scienza (sancito anche dall’articolo 27 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo)?
Innanzitutto la scienza deve poter 'fare il proprio lavoro', cioè progredire. Per questo, oltre a investimenti in risorse umane e finanziarie, occorrono quadri normativi (a livello transnazionale) che consentano una ricerca libera da impostazioni e imposizioni ideologiche, approcci moralistici e limitazioni religiose. Perché questo accada, occorre che i governi e le organizzazioni regionali e internazionali rispettino i propri obblighi internazionali per promuovere e proteggere il ‘diritto alla scienza’.
Ciò non vuol dire che quel che scoprono gli scienziati automaticamente debba diventare Legge; vuol dire creare occasioni di confronto sulla base di evidenze scientificamente prodotte, sia nella fase di dibattito pubblico, che in quella della presa delle decisioni, perché nel dialogo tra scienza e legislatori si trovi il modo migliore per governare fenomeni in costante evoluzione, che presentano rischi, ma anche enormi possibilità.
Oggi si parla molto di crisi delle democrazia. Che ne pensi?
Intanto penso che la cosiddetta crisi della democrazia non esista, il problema politico è il mancato rispetto dei diritti civili e politici dei cittadini. Per anni Marco Pannella ha parlato di ‘democrazie reali' cioè di un contesto in cui di democratico c'è rimasto giusto il 'brand' mentre le istituzioni stesse - e per prime! - non rispettano la propria legalità costituzionale e i diritti umani.
Vediamo se ho capito: a tuo avviso non c'è nessuna crisi della democrazia in atto, poiché di fatto i problemi irrisolti nelle ‘Democrazie Reali’ ci sono sempre stati. Tra l'altro sono almeno 50 anni che a diverse riprese si parla di crisi della democrazia… Corretto?
Sì.
Alcune minacce alla Democrazia arrivano dalla tecnologia e in alcuni segmenti della popolazione si sta diffondendo anche una sfiducia nei confronti della scienza... Forse la tecnologia offre però anche opportunità per la democrazia...
Storicamente la tecnologia è alleata del potere (politico o economico) perché nata grazie al dirigismo di governi; c'è stato un momento storico in cui si pensava che tutto quello che fosse 'free' e 'open' potesse consentire resistenze (quelle che oggi si chiamano 'resilienze') o nuove forme di partecipazione democratica diretta. Se la ricerca e le innovazioni tecnologiche ci sono, ormai da una trentina d'anni, le leggi di buona parte degli stati (tranne forse qualche paese nordico) non sono state adeguate affinché i cittadini potessero utilizzarle per vedere rispettati i propri diritti civili e politici grazie ai benefici del progresso scientifico e tecnologico. Si torna al punto iniziare, formule come la 'crisi della democrazia' vanno bene per i giornali, ma sono vuote di qualsiasi analisi politica radicale.
La sfiducia nella scienza è il sottoprodotto di un'informazione superficiale, sensazionalistica, asservita agli interessi economici (o politici) di chi la propone; ma mai come oggi - nei fatti - non si può fare a meno della scienza nella vita quotidiana.
Una grande sfida del nostro tempo è coniugare democrazia e competenze (che per via del progresso scientifico sono sempre più vaste, ma frammentate).
Ad un estremo si rischia il populismo e l’inefficacia delle politiche, all’altro la tecnocrazia e l’elitarismo. È una questione di cui “Science for Democracy” si è occupata o si occuperà? Hai qualche idea o proposta per affrontare il problema?
Ad aprile del 2019 allo University College di Londra abbiamo organizzato una giornata seminariale a porte chiuse che ha iniziato ad affrontare alcuni di questi problemi e speriamo di poterci tornare sopra quest'anno. Anche qui però io sono dell'opinione che i politici d'oggi - e i commentatori o gli analisti e gli esperti - stiano troppo dietro ai cosiddetti 'sentiment' ingigantiti dalle camere d'eco dei media tradizionali e dei social, perdendo totalmente di vista quali siano le priorità del nostro tempo.
Prendiamo un esempio estremo, la Cina. Possiamo ritenere la Cina un regime tecnocratico - e autoritario - eppure tutto questo controllo centrale e il progressivo raffinamento delle proprie competenze tecnologiche non son servite a reagire alla diffusione del COVID-19 con tutta la potenza ed efficienza che hanno elevato la Repubblica popolare a esempio per molti paesi (e non necessariamente in via di sviluppo). Cos'è mancato a Wuhan? La libertà di poter condividere una scoperta 'lì e ora' per i bene comune - uno degli elementi del diritto alla scienza.
A cosa ti riferisci di preciso?
Se il dottore che notò un nuovo virus avesse potuto rendere noto il rischio già il 31 Dicembre, forse sarebbero riusciti a isolare il focolaio per tempo. Invece lo punirono per "dichiarazione illegali" perdendo due settimane. Le conseguenze (anche se incredibilmente ingigantite da allarmismi e sensazionalismi dei media di cui sopra) le stiamo subendo a livello globale.
Puoi farci un altro esempio?
Prendiamo il caso dell'Italia: quanto potrà andare avanti un paese che non fa i conti col proprio debito pubblico o con l'invecchiamento costante della propria popolazione? Mancano economisti o demografi di fama mondiale da arruolare? Certo che no, manca il loro coinvolgimento nella condivisione di fatti incontrovertibili e il coraggio politico di assumersi la responsabilità di essere impopolari per non essere anti-popolari, come diceva sempre Pannella.
La politica deve governare fenomeni in atto, non sproloquiare su passati idilliaci o futuri distopici. Non è un caso che la decisione di promuovere azioni politiche transnazionali che recuperino, tramite la scienza, il buon senso, l'unico antidoto per poter affrontare la realtà dei fatti sia di provenienza radicale.
Assumendosi la responsabilità di essere impopolari, non si rischia di far la fine di Cassandra?
Si fa le Cassandra se si parla e basta, se invece si è conseguenti con azioni concrete, è possibile arrivare a risultati. Tra l'altro anche la nozione di "impopolarità" andrebbe approfondita: promuovere le cure palliative è impopolare? Chiedere che tutti possono aver accesso ai benefici della scienza è impopolare? La reputazione della democrazia o della scienza è frutto del modo con cui le si attacca con altri fini che non siano analizzarne le caratteristiche e i problemi che possono presentare.
Mi pare di capire che in conclusione, per coniugare democrazie e competenze si può intervenire su un terzo fattore: la cultura democratica e scientifica dei cittadini.
Conosci abbastanza bene le istituzioni nazionali ed internazionali, così come il mondo dell’associazionismo e dei partiti. Dove credi che ci sia spazio o necessità per una maggiore partecipazione dei cittadini, magari con ricorso a strumenti di e-democracy? Hai vissuto qualche iniziativa di particolare interesse in questo senso?
Nel 2005 le Nazioni unite hanno convocato il Summit mondiale sulla società dell'informazione. La prima sessione si tenne a Ginevra la seconda a Tunisi - dove le pagine internet delle maggiori organizzazioni per i diritti umani erano oscurate. In quell'occasione con Marco Cappato avanzammo una serie di proposte affinché tutta la propaganda sull'e-government includesse (se non altro) anche l'e-democracy.
Ancora una volta non si tratta di creare nuovi obblighi o nuove costituzioni per la Rete, ma di rendere godibili i principi contenuti nel Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. Negli anni si è ritenuto che uno dei componenti essenziali dell'e-democracy dovesse esser il voto online. E sappiamo, perché ce l'hanno dimostrato fior di esperti, che il voto via internet è quanto di meno sicuro ci possa essere.
Questa è una delle problematiche che saranno trattate a breve da questo blog. Diversi articoli scientifici mostrano la presenza di falle di sicurezza anche in sistemi attualmente utilizzati per elezioni istituzionali (si vedano per esempio questo e quest'altro, che purtroppo, in barba al diritto alla scienza, sono disponibili per la consultazione solo a pagamento).
Dove vedi maggiori potenzialità per l’e-democracy?
Occorre dotare la nostra dimensione digitale (ormai preponderante) di una piena personalità giuridica e politica. Firmare online una candidatura, un referendum, una proposta di legge d'iniziativa popolare, poter seguire, monitorare e interagire con chi prende decisioni nel momento in cui queste sono proposte e adottate creerebbe occasioni di mobilitazione popolare dirette che non necessiterebbero di enormi cifre di danaro per o strutture organizzative per essere promosse.
Certo "vox populi" non deve divenire "vox dei" ma non consentire un confronto puntuale non va nell'interesse dell'utilizzatore finale - ed è anche la violazione di un diritto umano.
Sei appena rientrato dal 6° Congresso Mondiale per la Libertà della Ricerca Scientifica, organizzato da “Science for democracy” ad Addis Ababa (Etiopia). La localizzazione dell’evento è casuale? Quale è in estrema sintesi lo stato della libertà scientifica nel mondo?
Il Congresso Mondiale che l'Associazione Luca Coscioni organizza dal 2004 è stato aperto con una lectio magistralis del Nobel per la medicina Richard Roberts che ha riassunto ottimamente il perché eravamo lì: invitato dalla Commissione europea a parlare del "futuro della medicina" ha incentrato il suo intervento sulla qualità e sicurezza del cibo sottolineando che "il cibo è la prima medicina". Ecco, se investissimo per far sì che quel che mangiamo avesse tutte le qualità necessarie per farci crescere sani, sicuramente avremmo aiutato centinaia di milioni di persone. Convocare una riunione di alto livello sulla scienza in Africa per noi era cruciale per almeno due motivi:
- da parte europea, per porre problemi di priorità di investimenti, dialogo e obiettivi da raggiungere (e non solo ripetendo stancamente i testi dei vari documenti adottati a livello internazionale);
- da parte africana, per favorire la condivisione diretta di conoscenze che rivoluzionino percezioni e decisioni sulla base delle esigenze locali.
La medicina di precisione, questioni come la salute riproduttiva o le libertà sessuali, le biotecnologie verdi e l'immissione di nuovi prodotti sul mercato, tanto quanto l'accesso aperto alla letteratura scientifica sono questioni che, una per una e con le loro diverse implicazioni, possono consentire uno sviluppo umano che può essere sostenibile, disegnato sulle esigenze di determinati contesti; ma può anche consentire emancipazioni da dipendenze inutili, che oggi esistono in virtù del fatto che non ci pre-occupa di favorire il 'diritto di godere dei benefici della scienza' a livello universale.
A tuo avviso c’è correlazione tra libertà scientifica e democrazia?
Quando si creano le condizioni per la libertà di ricerca si favorisce la circolazione delle idee, idee che si basano su fatti.
La libertà di scelta individuale, oltre che un'aspirazione personale, è anche un diritto umano universalmente riconosciuto - un diritto che, e ce lo insegna la storia, può essere goduto solo in un contesto di separazione di potere e loro bilanciamento, cioè in sistemi liberal-democratici. Altro che crisi delle democrazia!
Grazie mille per la tua disponibilità.
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