La Democrazia è Negoziazione
Intervista a Gino Roncaglia filosofo dei nuovi media; Professore presso l’Università degli Studi della Tuscia, insegna Informatica applicata alle discipline umanistiche ed è autore di numerosi saggi sugli strumenti digitali, tra cui: “L'età della frammentazione” (2018), “La quarta rivoluzione” (2010) e “Il mondo digitale” (2000). È stato anche ideatore del progetto Wikilex e socio di Tecnologie Democratiche.
L’informazione dei cittadini (e la capacità di elaborarla e comprenderla) è parte essenziale della “Democrazia”. Inizialmente la rivoluzione di Internet era percepita un rinnovamento positivo del sistema d’informazione e un’occasione per la democrazia e la partecipazione civica. Oggi invece i nuovi media sono sempre più percepiti come una minaccia. Che ne pensa?
Un problema fondamentale dei nuovi media è che questi sono raramente orientati a creare un ragionamento articolato e complesso. Molti strumenti digitali, in particolare la maggioranza dei social network, sono orientati al discorso breve, e questo può favorire la riduzione della comunicazione a slogan. Si pensi a Twitter, che non a caso è molto usato da Trump: il discorso breve è infatti adatto ad una politica basata più sulle sensazioni che sul ragionamento. Twitter non è il diavolo, può avere anche usi interessanti, ad esempio come strumento di segnalazione. Ma se lo si usa per trasmettere direttamente contenuti, si rischia di ridurre i contenuti a frammenti o a slogan.
Forse però sono gli utenti di internet a preferire discorsi semplici e brevi…
Certamente il problema è duplice e coinvolge sia gli strumenti che l’utenza.
Produrre un discorso articolato è certamente più lento e faticoso, perché richiede argomentazioni e negoziazione, ma il risultato non è necessariamente difficile da fruire. Si pensi al funzionamento degli strumenti Wiki, che permettono di creare testi tramite un processo di negoziazione fra più utenti.
Il comportamento dell’utenza dipende anche dal clima culturale. Oggi purtroppo si va affermando l’idea che la scelta delle politiche si basi su alternative nette e non sulla mediazione, che davanti alla scelta fra due alternative debba esistere un vincitore netto ed uno sconfitto netto: questo nega l’importanza della negoziazione politica, che dovrebbe invece essere fondamentale. Il termine ‘mediazione’ è diventato dispregiativo, mentre la mediazione è l’essenza della politica.
Credo peraltro che i nuovi media ci appaiano adatti al discorso breve perché sono ancora strumenti molto giovani. Nella storia abbiamo assistito a quattro grandi rivoluzioni per quel che riguarda la trasmissione dell’informazione: dapprima il passaggio dall’oralità alla scrittura (e anche se esistevano già narrazioni orali complesse, i primi testi scritti erano brevi e granulari: lettere, trattati, preghiere... si pensi alle raccolte di Ebla e Amarna); poi il passaggio dai rotoli al codex, al libro paginato. Successivamente ha avuto luogo la rivoluzione della stampa e solo qualche anno fa quella digitale.
Nel suo libro “L'età della frammentazione” avanza l’ipotesi che i contenuti del web stiano subendo una progressiva organizzazione e per il futuro auspica la costruzione di cattedrali dell’informazione. Come tutto ciò può influire su strumenti e formule democratiche del futuro?
Ai suoi esordi Internet era popolato da cacciatori-raccoglitori di informazioni. Ci si collegava al modem per mezz’ora e si provava a cercare qualche contenuto interessante. Poi ci si scollegava e si guardava con calma nella propria tana - e cioè nel proprio computer - quale preda informativa si era riusciti a catturare.
Successivamente sono nati i primi insediamenti stabili, i siti web, ed intorno ad essi si è iniziato a coltivare l’informazione: è un po’ l’epoca dei primi centri urbani e dell’agricoltura. Grande complessità orizzontale, attraverso il meccanismo dei link, ma scarsa complessità verticale, edifici bassi, proprio come nelle prime città.
Il territorio della Rete è stato progressivamente esplorato e colonizzato, sono nate le infrastrutture, i motori di ricerca ed i social. Le informazioni hanno iniziato a viaggiare, ad essere condivise e scambiate, diventando facilmente raggiungibili senza necessità di cercarle alla fonte. Sono prodotte dagli utenti: siamo all’età dell’artigianato e del commercio. Ma sono ancora contenuti granulari e spesso frammentati.
La mia tesi è che nel futuro potremo assistere ad una progressivo sfruttamento della dimensione verticale, con edifici più alti e che richiedono sforzi costruttivi organizzati, come nelle città in cui sorgevano Cattedrali.
Cosa rappresenta la dimensione verticale, in questa analogia?
È la dimensione dell’elaborazione delle informazioni, della negoziazione redazionale per la produzione di contenuti complessi. Wikipedia è un primo esempio di edificio sviluppato in altezza. In futuro strumenti quali l’intelligenza artificiale ed il libro elettronico potranno aiutarci ad erigerne altri. Il libro elettronico oggi è perlopiù equivalente al fratello cartaceo, ma in futuro potranno esistere standard per commentare testi e condividere i commenti, favorendo un processo di elaborazione.
Le fake news oggi possono diffondersi per la carenza di strutture verticali capaci di analizzare, valutare ed argomentare o smentire le informazioni: produrre una notizia falsa richiede molta meno energia che analizzarla, verificarla e smentirla. Per la prima operazione sono sufficienti contenuti granulari, per la seconda no, servono contenuti (e contenitori) più adatti all’argomentazione complessa.
In una precedente intervista sottolinea che un effetto del “deficit di competenze” nell’elettorato è quello di far prevalere d’interessi immediati e locali (più semplici da comprendere e immediatamente accessibili), su quelli generali e di lungo periodo (più complessi e fondati su competenze e conoscenze assai meno accessibili e diffuse). Che soluzioni propone per scelte politiche lungimiranti?
Lo sviluppo di strumenti digitali migliori è utile, ma serve anche che la popolazione sviluppi capacità di selezione dell’informazione, di negoziazione, di relazione con la complessità, che oggi mancano. Il problema non è solo italiano, poiché le trasformazioni in atto nel mondo dell’informazione sono recenti per tutti, ma il sistema formativo italiano arriva a questa fase già in ritardo e con poche risorse. Il nostro sistema scolastico è tuttora ancorato alla lezione frontale; manca troppo spesso, ad esempio, della capacità di lavorare sugli interessi specifici degli studenti, anziché solo su indicazioni nazionali basate su canoni in parte antiquati.
Un elemento da non trascurare, come accennavo prima, è anche il sistema politico ed elettorale; il maggioritario può funzionare in Paesi dove esiste una buona capacità di negoziazione anche esternamente rispetto agli organi statali (espletata ad esempio dai Corpi intermedi). Laddove questa capacità manca, è preferibile una legge elettorale proporzionale che stimoli processi di negoziazione all’interno del sistema politico, ovvero di accordo tra più fazioni per poter costituire una maggioranza. Una legge elettorale proporzionale può peraltro generare un clima culturale più propenso al dialogo.
Purtroppo dobbiamo prendere atto che i meccanismi di negoziazione esterna al sistema politico sono entrati in crisi. Ad esempio non esistono più, di fatto, le sezioni di partito e le scuole di partito di oggi sono difficilmente comparabili a quelle di alcuni decenni fa. Quello che accadeva in passato ovviamente non è più ripetibile nella stessa forma oggi. Ribadisco quindi l’importanza di nuovi strumenti per la negoziazione: la loro assenza rappresenta un pericolo per la tenuta della Democrazia.
Alcuni anni fa propose insieme a Roberto Casati uno strumento di e-democracy chiamato Wikilex. Ce ne può parlare brevemente?
Si trattava di una proposta di strumento per il drafting normativo basato sulla tecnologia wiki: dunque un sistema per la scrittura e la revisione collaborativa di leggi.
Purtroppo la nostra proposta non ha avuto molto seguito, perché la politica, per mancanza di competenze o per ragioni di convenienza, ha visto nella rete soprattutto un mezzo di propaganda o di deliberazione secca, anziché anche un mezzo di negoziazione.
Internet non è uno strumento idoneo a deliberare: esso si presta invece molto bene per la negoziazione, ovvero l’elemento essenziale della democrazia. Se io sostengo una proposta A e tu una proposta B, possiamo arrivare a formulare una proposta intermedia C, che cerchi di risolvere i problemi insiti in A e in B. Purtroppo non si è investito molto per sfruttare questa potenzialità.
Perchè dice che internet non è utilizzabile per deliberare?
Il problema principale è la mancanza di trasparenza: il singolo votante deve capire come funziona una votazione. Se il voto avviene via internet si deve fidare di qualcosa che non comprende appieno.
In Svizzera forse le istituzioni godono della fiducia necessaria per consentire votazioni telematiche, ma d’altra parte anche loro stanno valutando se proseguire la sperimentazione. Sono soprattutto gli esperti del settore, compresi quelli che hanno costruito la rete, a schierarsi contro il voto elettronico.
Ovviamente anche io utilizzo strumenti decisionali telematici per questioni di importanza relativa ; ad esempio in un gruppo di lettura di cui faccio parte usiamo Tricider per la scelta dei nuovi libri da leggere; è un tool estremamente semplice, che tuttavia consente di argomentare a favore o contro le diverse proposte.
La votazione online consente però di utilizzare metodi elettorali che facilitano l’individuazione di soluzioni di compromesso: ad esempio la piattaforma Airesis mette a disposizione il Metodo Schulze per la votazione.
Certo, votazioni telematiche possono comunque essere usate nella fase di elaborazione delle proposte politiche, ma quando ci si trova davanti ad esempio al voto su cariche elettive, o se al termine del processo di negoziazione è necessaria una ratifica, ecco, votazioni di questo tipo a mio avviso non dovrebbero aver luogo online: devono essere svolte con il massimo della trasparenza, attraverso procedure di voto verificabili e comprensibili da chiunque.
Allora in una democrazia che funziona bene, dico per provocazione, la delibera dovrebbe concludersi con una maggioranza bulgara?
Ovviamente dipende dal tipo di consultazione; ma effettivamente, se vi è stata un’intensa negoziazione, la ratifica finale potrebbe rappresentare un momento di check sulla qualità della negoziazione, anziché una scelta secca tra diverse soluzioni. Maggioranza bulgara quindi nel senso che è preferibile che una ratifica possa concludersi con un’ampia maggioranza, non nel senso che questa non sia preceduta da un libero dibattito. Detto questo, è certo possibile che la negoziazione fallisca e che si debba scegliere fra alternative secche: niente di male, in una democrazia, soprattutto quando sono in ballo questioni di principio e valoriali; ma l’accordo e la mediazione sono sempre preferibili.
Grazie mille per la disponibilità!
-----------------------------------------------------------------
* CC-BY : articolo rilasciato con licenza Creative Commons con obbligo di attribuzione all’autore: è possibile ripubblicare questo articolo indicando l’autore e riportando il link alla fonte originaria.