Discutere online: com’è cambiata l’opinione pubblica all’interno del nuovo sistema informativo
Cosa significa filter bubble? Che vuol dire echo chamber? Pensi che internet abbia peggiorato il discorso pubblico? Noti che le idee delle persone sono sempre più polarizzate? Quanta influenza ha avuto il web in questo? Che cos’è il disordine informativo? Cosa è una fake news?
Introduzione
Il modo in cui ci informiamo è cambiato radicalmente grazie all’avvento di internet: oggi è possibile accedere a qualsiasi notizia nel giro di pochi click. Come qualsiasi nuovo ambiente, questo porta con sé novità, ma anche problemi.
Le filter bubbles e le echo chambers sono le trappole che i logaritmi dei vari siti che visitiamo giornalmente possono creare, ma non solo: il web è pieno zeppo di falsa informazione, verità mistificate ed articoli clickbait, generati con il solo scopo di rispondere ad intenti di ricerca di utenti poco informati, al solo scopo di vendere la pubblicità.
Viene quindi da chiedersi, il sistema informativo attuale garantisce un pluralismo di valore all’interno del discorso pubblico, o solamente una scarna pluralità?
Frammentazione e polarizzazione: echo chambers e filter bubbles
L’omofilia è un fenomeno prima psicologico, poi studiato in sociologia, secondo il quale gli individui tendono ad associarsi e a creare legami con persone a loro simili a seconda di parametri di età, genere, classe, status sociale o lavorativo. Questo processo, accostato al contesto mediatico e applicato al discorso pubblico, produce l’effetto di una crescente polarizzazione a sua volta favorita da un’altrettanta crescente frammentazione delle fonti di informazione disponibili. Per “polarizzazione” s’intende l’aumento della distanza ideologica fra gli individui, cioè quel fenomeno che vede le persone assumere delle posizioni molto distanti fra loro.
La frammentazione e la polarizzazione sono processi che nel contesto dei media digitali, che dominano il sistema informativo odierno, si traducono in conseguenze specifiche, chiamate echo chamber e filter bubble.
Per “filter bubble” si intende una condizione di isolamento intellettuale causata dalle logiche di filtraggio delle piattaforme regolate principalmente attraverso algoritmi personalizzati. Secondo Eli Parires, colui che ha coniato il termine, il processo centrifugo operato dai filtri porta all’isolamento nel perimetro delle proprie selezioni, alla creazione di un contesto iper-personalizzato. Il contesto in cui navighiamo non è regolato da criteri trasparenti di cui siamo a conoscenza: non possiamo essere pienamente consapevoli delle logiche di filtraggio attuate dai logaritmi di Google o di Amazon. Potremmo sì intuirne alcuni (posizione geografica, cronologia, …) ma ad oggi non possiamo assumerne la conoscenza totale e, a causa della disintermediazione ‘trasparente’, non tutte le persone ne sono coscienti. Paradossalmente internet, il luogo che è libero e interattivo per natura, assume le sembianze di una scatola impermeabile all’interattività al cui interno vi sono solamente le informazioni ritenute idonee ai singoli soggetti.
All’interno della scatola si creano delle reti omofiliche di utenti/followers/amici ritenuti affidabili dal singolo, agevolando il fenomeno dell’echo chamber. La locuzione fa riferimento alle situazioni in cui le proprie credenze sono amplificate o rinforzate da comunicazioni e ripetizioni di determinati concetti all’interno di un sistema chiuso (come le filter bubbles) e isolato da ogni tipo di contestazione. Il sistema è generalmente composto da persone che condividono una certa posizione politica, identitaria, culturale e/o etnica. Il pensiero dominante della community demarca la linea di separazione fra interno ed esterno; fra ciò che è accettato e quindi buono e ciò che non lo è, ciò che mette in discussione i suoi valori portanti. Il fenomeno dell’echo chamber favorisce quindi l’accesso costante a pensieri e a idee di persone con credenze simili, che si fanno eco l’un l’altra, a causa delle proprietà strutturali del web. Da ciò derivano conseguenze significative.
Persone che condividono le medesime idee possono esaltarsi a vicenda alimentando l’incitamento all’odio nei confronti di determinati gruppi considerati avversi o addirittura nemici rispetto a quello di appartenenza. Non sono pochi casi del genere, alcuni sbagliati nelle fondamenta e altri con buone intenzioni ma che infine sfociano in vere e proprie molestie (minacce di morte o la pubblicazione di dati sensibili, per esempio). La creazione di gruppi ideologicamente polarizzati, inoltre, a maggior ragione se estremisti, può causare una segregazione volontaria degli individui appartenenti ad essi che rende difficile alla governance di arrivare a soluzioni politiche attraverso mezzi consoni a un sistema democratico basato sulla negoziazione secondo principi di ragione. È anche da tenere in considerazione che lo sviluppo da parte dei politici di modalità specifiche di relazioni nei confronti della loro ‘bolla’ alimenta la sedimentazione di essa.
Il disordine informativo e le fake news
Tra le conseguenze più significative legate ai temi che abbiamo trattato finora, quella più pericolosa e nota è sicuramente il fenomeno delle fake news. Di fatti, le notizie false si rafforzano ulteriormente grazie alle bolle-filtro e al fenomeno dell’echo chamber, soprattutto nel contesto dei social media: la mancanza di dialettica, di confronto, sommata alla crisi degli intermediari porta gli individui a fidarsi delle notizie condivise dai loro simili, ossia dei loro opinion leaders, senza che sentano la necessità di doversi assicurare della veridicità dei fatti.
Tuttavia quello delle fake news è solo uno dei modi del non-fare informazione. A tal proposito Luigi Ceccarini distingue tre modalità: misinformazione, disinformazione e malainformazione.
Per ‘disinformazione’ si intende l’azione intenzionale dell’emittente che cerca di confondere il pubblico e creare un danno agli avversari (economici, politici, …) attraverso la produzione e la divulgazione di informazioni false. Notizie del genere sono caratterizzate da contenuti menzogneri, fabbricati e manipolati e posti in un contesto falso.
Ciò che distingue la misinformazione dalla disinformazione è l’assenza dell’intenzionalità comunicativa manipolatoria: si tratta di notizie inesatte o fuorvianti, le cui fonti non vengono controllate, che spesso derivano dalla necessità di diffonderle nel minore tempo possibile. Usare un titolo che non corrisponde al contenuto dell’articolo per fini di logiche commerciali è anch’esso un esempio di misinformazione.
Il termine 'malainformazione' fa invece riferimento ai cosiddetti leaks: la diffusione di notizie riservate, anche se vere, spesso con fini volti al danneggiamento dell’immagine della persona coinvolta. In questa categoria rientra anche l’hate speech contro gli avversari politici.
Questi tre concetti considerati nel loro insieme assumono la denominazione di ‘disordine informativo’. Ovviamente le tre categorie non devono essere intese in maniera distaccata e parallela, ma è possibile trovare diverse forme di non-informazione all’interno, per esempio, di uno stesso articolo.
Il disordine informativo può essere raggirato attraverso diversi modi, per esempio con l’uso della pratica del fact-checking, cioè il processo di controllo dell’attendibilità delle informazioni o, come accade nella maggioranza dei casi, delle fonti di esse (in questo caso si è soliti usare il termine source-checking). Altra metodologia è quella del debunking, ossia l’uso di un metodo scientifico per confutare informazioni che non hanno alcuna veridicità. Questa attività nasce nel contesto dei fenomeni sociali connessi al mondo paranormale e poi si è sviluppato nell’ambiente della comunicazione politica. L’ente o l’individuo che attua queste pratiche e che ritiene sia necessario entrare in relazione con coloro che credono nelle fake news viene chiamato debunker. In particolare, gli individui si identificano come attivisti, tant’è vero che quasi il 60% dei progetti attivi ai suddetti fini sono iniziative no-profit. La loro intenzione è quindi quella di porsi come attore terzo rispetto alle istituzioni e ai media.
Altro strumento per il contrasto al disordine informativo è la media literacy: l’acquisizione di particolari competenze tra le quali la conoscenza delle funzioni e del ruolo di media, lo sviluppo di un senso di analisi critica dei contenuti, il cosciente uso delle TIC. Nelle scuole di alcune nazioni, per esempio nel Regno Unito, sono stati introdotti programmi di media literacy con ottimi risultati. Da alcuni studiosi questo strumento è considerato il più utile per far capo alle problematiche descritte.
Pluralismo o pluralità?
La frammentazione, la polarizzazione e i conseguenti effetti di filter bubble ed echo chamber condizionano in maniera così preoccupante l’attuale sistema ibrido di informazione che Gabriele Giacomini nel suo libro “Potere Digitale” lo definisce “paradosso del pluralismo”.
Si può affermare che l’odierno sistema politico di tipo democratico continua ad avere successo anche grazie al principio pluralista. Questo si riferisce sia al diritto di espressione, alla presenza nel linguaggio pubblico di una diversità che viene tutelata e mai censurata, sia al fatto che queste differenti parti devono entrare in rapporto fra loro e discutere in maniera democratica, rendendosi dei soggetti attivi. Il pluralismo si può quindi scomporre in due facciate: da un lato l’aspetto quantitativo, dall’altro quello qualitativo ed entrambi devono essere garantiti. In definitiva, l’attuale democrazia si basa sull’idea oraziana della concordia discors: l’armonia del generale deriva dalla discordanza positiva dei pareri particolari.
I media digitali hanno influito fortemente anche su questo aspetto. Infatti, se da un lato essi favoriscono il proliferare di voci differenti ed aumentano quindi il diritto di espressione in termini quantitativi, d’altro canto essi sembrano alimentare la polarizzazione del discorso pubblico, incrementando la distanza ideologica tra le voci e quindi penalizzando la possibilità di una discussione costruttiva. Ciò che viene penalizzato da questa dinamica è il linguaggio, ridotto ad un minimalismo di facciata; necessariamente, per fare emergere i propri concetti, lo "scrivere per slogan" esaspera il confronto e riduce la pluralità di opinioni rendendo facile la polarizzazione di opinioni prevalenti.
Il web, a partire dai blog, e in particolare i social media hanno concesso la possibilità a qualsiasi persona di poter esprimere il proprio pensiero e hanno accelerato esponenzialmente la creazione di centri di informazione, rendendo questi immediatamente accessibili in qualsiasi momento o luogo. Inoltre, questo meccanismo è favorito dal fatto che internet non è soggetto ad alcuna forza regolatrice esterna, almeno nel panorama democratico. A tale problema si aggiungono dinamiche psicologiche, sociali e tecnologiche.
Per quanto riguarda quelle psicologiche, notevole è l’euristica della conferma: gli individui tendono ad assumere come riferimento le sole prospettive che confermano e alimentano i loro punti di vista preesistenti. Ciascuno di noi è portato ad evitare il dialogo con individui o gruppi che sono ritenuti fonte di disagio, a scapito del fiorire di un dibattito e del pluralismo di opinione. Le dinamiche sociali e tecnologiche sono state precedentemente discusse, con riferimento all’omofilia e agli algoritmi e alle loro conseguenze nel sistema informativo digitale. Tali aspetti sembrano quindi impedire il principio pluralista che è alla base della società democratica, che pone le sue basi in una sfera pubblica inclusiva e ben informata.
Non mancano però tentativi di accrescere il lato qualitativo. In tal senso, oltre all’importante ruolo dei debunkers descritto precedentemente, occorre citare gli esperimenti di open government promossi dagli enti pubblici e dalle istituzioni. Questi consistono nella creazione di piattaforme che potremmo ricondurre in due tipologie: quelle con fini di garanzia di trasparenza che consistono nella pubblicazione di dati al pubblico e quelle, più interessanti per l’argomento in analisi, che cercano di estendere la partecipazione e la collaborazione dei cittadini nel processo di negoziazione per la formazione di politiche pubbliche. Si cerca quindi di creare un clima di dialogo, di confronto dialogico ed argomentato, in contrapposizione con il dibattito pubblico presente, per esempio, nei social.
La maggior parte delle piattaforme di open government sono del primo tipo, ma non mancano anche tentativi con fini partecipativi e deliberativi, come nel caso della piattaforma Rousseau promossa dal Movimento 5 Stelle in Italia.
Bisogna tuttavia considerare le piattaforme deliberative e partecipative anche nei loro limiti, che consistono nella scarsa partecipazione da parte dei cittadini e nella percezione che questa partecipazione sia ‘debole’, ossia limitata alla scelta di qualcosa pur sempre proposto da un’organizzazione che sta al di sopra del singolo cittadino.
La garanzia di un pluralismo più qualitativo che quantitativo è sì prerogativa essenziale per un discorso pubblico degno di un sistema democratico, ma bisogna tener conto del contesto in cui ci troviamo: i media digitali sono ancora giovani, entrati da poco nella quotidianità del cittadino e questo ne ha compreso il potenziale soltanto recentemente. Gli esperimenti di piattaforme volte a rendere i cittadini più consapevoli e partecipanti sono ancora agli inizi e per trarre sensate conclusioni di quanto internet sia nocivo o meno in tal senso, bisognerebbe studiare il comportamento dei futuri cittadini, nati e cresciuti nel e col web.
Fonti
- https://en.wikipedia.org/wiki/Homophily
- Bias ed euristiche: cosa sono e quali sono i più frequenti (stateofmind.it)
- Gabriele Giacomini, “potere digitale”